Non bisogna mai dimenticare – specialmente se ricorre la Giornata internazionale della donna – che, in Italia, la violenza di genere in aumento è ancora un problema irrisolto e troppo sommerso. E il numero di femminicidi non sembra diminuire. L’argomento è troppo ampio e sfaccettato per poterlo sviscerare tutto in una volta. Parliamo dunque di quelle mogli, compagne, fidanzate che avrebbero la forza di denunciare gli abusi, ma non lo fanno perché consapevoli degli ulteriori rischi in cui potrebbero incorrere.
Le donne maltrattate che si confidano con amici o parenti, spesso si sentono dire: “Denuncialo! Cosa aspetti, che ti uccida?”. Consiglio sacrosanto ma azzardato. Non tutte sono sprovvedute: conoscono l’inadeguatezza della legge italiana a tutela delle vittime di violenze fisiche e psicologiche. E la giustizia ha tempi impossibili per una donna che va immediatamente protetta dal suo carnefice, maggiormente incattivito dallo smascheramento. I centri antiviolenza sono pochi, mancanti di finanziamenti pubblici, per lo più gestiti da volontari, dove non è facile trovare un rifugio sicuro. Queste donne sono informate sulle conseguenze che si ripercuotono su chi denuncia il proprio aguzzino: molte hanno perso la vita, proprio in quel lasso di tempo che separa l’atto legale, ma anche più di uno, da un qualsiasi serio provvedimento. E spesso è proprio l’intempestività della legge a permettere il reiterarsi di certi reati che potrebbero finire per rivelarsi fatali. Pertanto, è soprattutto la paura di ritorsioni peggiori a immobilizzarle.
Oggi, le norme in vigore non garantiscono ancora una protezione adeguata o un allontanamento immediato del convivente/amante violento. Che andrebbe in primis curato. Questo è un problema che è stato troppo sottovalutato dai nostri governanti. Eppure, il fenomeno è più allargato di quanto si sappia. All’interno delle mura domestiche si commettono i crimini più efferati, in assoluta segretezza.
Se io, donna maltrattata, inizio a temere seriamente per la mia incolumità e rivelo un grave stato d’imminente pericolo, emergenza che, però, non posso dimostrare nell’immediato per mancanza di prove tangibili, devo comunque aspettare che un tribunale accolga la mia istanza e apra un procedimento? E nel frattempo? Quante volte mi avrà uccisa? E qualora provvedessero all’ammonimento dello stalker, chi garantirebbe una scorta ai miei spostamenti che il pazzo potrebbe seguire, per tendermi un agguato? Nessuno.
Sono molte, dunque, le vittime che non vogliono assolutamente correre rischi maggiori. La psiche già labile dell’aguzzino, per giunta rifiutato, abbandonato e scoperto, potrebbe spingerlo a sterminare l’oggetto dei suoi irragionevoli e reiterati atti insani. Ed è per questo che, prima di dire basta, molte cercano vie di salvezza alternative, ed a chi le sprona a denunciare, rispondono: “Io voglio vivere!”.