“Alla c.a. del Garante dei detenuti di Messina, Prof.ssa Lucia Risicato; Preg.mo Dirigente dell’Ufficio speciale del Garante dei detenuti, Illustre Dott. Giovanni Stimolo, in nome, per conto e nell’interesse dei prossimi congiunti del sig. Argentino Stefano, nato a Noto il 25.09.1998 e deceduto nel carcere di Messina Gazzi in data 06.08.2025, mi trovo costretto a rivolgermi alle S.V. Ill.me al fine di chiedere un tempestivo intervento pratico e pragmatico nella vicenda che ha sconvolto, ancora una volta, l’Italia intera”. In una nota odierna, lo ha scritto il difensore del 27enne Stefano Argentino di Noto (che il 31 marzo 2025 dopo le 17.00 in viale Gazzi a Messina uccise nei pressi del Policlinico la collega universitaria 21enne misilmerese Sara Campanella), l’avvocato Giuseppe Cultrera.
Così prosegue il testo diffuso da Cultrera:
- “Non è, infatti, come a Voi noto, la prima volta che all’interno della Casa Circondariale di Messina Gazzi assistiamo a un decesso avvolto dal velo del mistero, dall’analisi erronea sulla necessità di sorveglianza dei detenuti stessi: Stefano Argentino, Lorenzo Vasile, il ventiquattrenne tunisino, Antonio Citraro, etc.! Sono soltanto alcuni dei nomi che rimbombano altisonanti nella mente di un normale conoscitore di cronaca, alcune delle vite consegnate all’Amministrazione Penitenziaria in cerca di una potenziale pena rieducativa e restituite salme ai familiari”;
- “Orbene, Stefano Argentino, detenuto in regime di media sicurezza, avendo già manifestato sin dall’ingresso nel carcere di Gazzi istinti suicidi, era stato sottoposto al regime di massima e alta vigilanza. Senonché, improvvisamente e senza che il sottoscritto difensore venisse quantomeno informato, solo dopo la comunicazione di decesso, il sottoscritto è venuto a conoscenza della decisione – addirittura sembrerebbe essere stata assunta più di due settimane addietro – di “declassamento” di sorveglianza per il detenuto reo confesso dell’omicidio di Sara Campanella”;
- “Stefano, almeno per quanto da lui riferitomi fino all’ultimo colloquio tenutosi lo scorso lunedì, era seguito da quattro psicologi e da uno psichiatra: ci si chiede come sia possibile che, 5 professionisti – non uno ma ben cinque! – non si siano resi conto della evidente e conclamata fragilità mentale del detenuto, di un detenuto che – a fortiori! – aveva già preannunciato il suicidio ed era stato trasportato in infermeria per non aver bevuto un solo sorso d’acqua per un periodo superiore a 17 giorni (SIC!)”;
- “Complice, di quanto sopra, anche l’Organo di Procura inquirente che, avendo ordinato ed eseguito le estrazioni forensi sui dispositivi digitali in uso a Stefano, era a conoscenza della previa volontà del detenuto di porre fine alla sua vita, presumibilmente per disidratazione o per impiccagione”;
- “Le S.V. Ill.me sono perfettamente a conoscenza delle norme dell’Ordinamento a tutela dei detenuti e hanno l’obbligo di vigilare sulla corretta applicazione delle stesse nonché di intervenire, fornendo anche ai familiari analisi accurate e approfondite, laddove l’applicazione si rivela fallace”;
- “Privare un cittadino della libertà personale al fine di sottoporlo a pena significa consegnarlo alla custodia dello Stato: il soggetto perde la propria capacità di autodeterminarsi in libertà e diventa sottoposto a indiscutibile custodia dello Stato stesso, che da quel momento sarà ed è unico e indiscusso responsabile anche della sua vita”;
- “A maggior ragione in ipotesi di fragilità mentale. Chi ha autorizzato il ‘declassamento’ di vigilanza sulla persona del detenuto Stefano Argentino – è evidente! – ha compiuto un madornale e non scusabile errore valutativo, sia analitico che clinico e dovrà risponderne. Quanto occorso all’Argentino non può qualificarsi come ‘causa di forza maggiore’ o ‘evento eccezionale e imprevedibile’; si tratta un caso di suicidio annunciato, di un vero e proprio dramma nel dramma, di una situazione che avrebbe richiesto una maggiore e più certosina attenzione da parte dello Stato, soggetto cui era stata affidata la custodia del detenuto”;
- “Una situazione che lascia sgomenti e le cui responsabilità vanno accertate: fra l’altro, non si trattava di un detenuto ‘difficile’ da gestire, ma di un soggetto fondamentalmente innocuo… di un ragazzino che veniva portato ai colloqui senza ausilio delle manette, di una giovane anima, rea dell’orribile reato compiuto e pronta a pagarne il prezzo, che accondiscendeva a qualsivoglia richiesta di controllo e, soprattutto, che aveva già presentato mesi addietro istanza di trasferimento, istanza che, ad oggi, non ha avuto seguito”;
- “Altro fattore determinante da valutare è l’aver dotato, da circa due mesi, la cella di Argentino di una TV senza limitazione di canali: si tratta di aver fornito al reo un modo per analizzare giornalmente il misfatto a lui addebitato, con soluzione di continuità e in assoluta serenità, con la chiave di lettura spesso distorta dei media, senza il necessario supporto psicologico e con un totale e marcato disinteresse”;
- “Argentino, che avrebbe dovuto essere custodito dallo Stato in regime di media sicurezza e con la più alta sorveglianza possibile, era ormai da giorni nel reparto di chirurgia del carcere di Gazzi, con la finestra della cella affacciata sulla vicina chiesa di San Nicola, finestra dalla quale era possibile assistere, a distanza, anche alla messa giornaliera. Le responsabilità che hanno condotto al prematuro decesso della giovane vita sono tante e andranno accertate nelle sedi opportune”;
- “Quanto sopra specificato al precedente capoverso, perchè fenomeni del genere, in costante aumento, possano diminuire, ma è chiaro che l’intervento del massimo Organo di garanzia in tal senso si manifesta come necessario e indiscutibile a supporto dei prossimi congiunti che, fra l’altro, avevano già da tempo manifestato agli Organi di Giustizia la labilità della mente del reo e la possibilità della presenza di una patologia di carattere psichiatrico”.