Domenica scorsa, la prima parte della nuova puntata di Report è stata dedicata al dramma umanitario senza precedenti dei profughi che giungono in Europa. Si è parlato anche dei centri accoglienza di Messina (minuto 32 del video) in cui si trovano uomini, donne e bambini che fuggono da paesi martoriati dalle guerre civili, oppure che scappano dalle persecuzioni religiose e/o politiche. Milioni di fuggitivi in cerca di salvezza che approdano sul nostro continente, se sopravvivono, finiscono spesso immobilizzati in veri e propri ghetti.
In Italia, spiega il reportage, il piano di accoglienza gestisce 111.000 posti per oltre un miliardo di euro destinati a rifugiati. I richiedenti asilo di Messina sono ospitati in una tendopoli di 250 posti, dove, oltre alle condizioni precarie e all’inerzia cui sono soggetti, in caso di piogge, si allaga tutto. Questo accampamento era gestito da una delle cooperative immischiate nell’inchiesta “mafia capitale”. La medesima impresa appaltatrice che curava anche l’ex Caserma Gasparro, in cui sono ospitati intorno ai 200 profughi, i quali, tuttavia, alloggiano tutti insieme nella sola zona mensa. Secondo la Prefettura, gli standard qualitativi spazio/utente vengono rispettati. Il vice prefetto vicario di Messina, Maria Antonietta Cerniglia, afferma: “Non sono io a dare queste indicazioni, ma persone competenti”. Le immagini, però, sembrano dimostrare altro.
Sempre a Messina, il programma condotto da Milena Gabanelli, focalizza infine tre caserme dismesse, composte da più di trenta edifici. “Strutture anni 70 in buone condizioni”, spiega Sergio De Cola, assessore lavori pubblici. Infatti nel filmato si vedono i complessi con aree esterne, mense e stanze che, in poco tempo e a cifre contenute, si potrebbero trasformare in centri di accoglienza. Eppure non vengono utilizzati. “L’unico ostacolo che vedo è la volontà poltica, culturale di portare avanti un progetto che interessa tutto il sistema Paese”. Sostiene Paolo Bardini, urbanista.
Si potrebbero invece sfruttare questi immobili per dare un tetto ai 450 profughi di Messina. E non solo. Si potrebbero offrire corsi di formazione, impegnarli in occupazioni di vario genere, anche socialmente utili, come succede in alcuni comuni virtuosi italiani. Ma, soprattutto, si dovrebbe seguire l’esempio di altri stati europei, dove l’integrazione del profugo inizia dall’insegnamento della lingua. Vedi la prima parte di Report sulla gestione accoglienza in Germania, per esempio. Si potrebbe fare di meglio, insomma, e forse con gli stessi soldi, talvolta malgestiti, per dare un presente ed un futuro dignitoso a coloro che, di qualsiasi sesso, razza, religione e colore, hanno il diritto di ricominciare a vivere.