L’Ordine professionale degli assistenti sociali della Sicilia, in questi giorni promuove incontri formativi in diverse citta’ dell’Isola, a Messina questa mattina si e’ tenuto il Seminario dal titolo: “Servizio Sociale ed immigrazione”, nel Salone delle Bandiere di Palazzo Zanca.

Sul tema oggetto dell’incontro, vi e’ stata la relazione dell’assistente sociale ed antropologa dell’Universita’ di Bari, la dottoressa Patrizia Marzo. Presente nella circostanza, anche la dottoressa Nina Santisi, assessore alle Politiche Sociali della Giunta Accorinti, che ha aperto i lavori.

La dottoressa Marzo, ha evidenziato ad esempio, che: “in tutta Italia operano 980 assistenti sociali, nell’ambito dell’attivita’ legata ai flussi migratori. 665 al Nord Italia, 160 al Centro e 155 al Sud. Si tratta chiaramente, ha continuato l’esperta, di un settore nel quale non ci si puo’ improvvisare”.

Riferendosi ad alcune colleghe con cui si e’ confrontata, ha fatto rilevare: “alcune operatrici, si limitavano a lavorare nell’imnediato e facile materno-infantile, cambiando settore, molte mi hanno detto che si sarebbero formate sul campo, altre che hanno seguito vari corsi a pagamento. Ma la verita’ e’ che si dovrebbe attuare, un costante aggiornamento, coinvolgendo i diretti interessati, cioe’ i migranti”.

In conclusione, l’antropologa pugliese, si e’ soffermata, dicendo: “non esiste l’assistente sociale super eroe che con la bacchetta magica risolve tutto, ma piuttosto un professionista parte di un sistema volto al miglioramento e benessere di tutti”.

La relatrice, e’ anche autrice di un libro dal titolo: “L’assistente sociale 2.0”, e’ un testo che invita a scoprire/riscoprire il rilevante ruolo dell’assistente sociale nei processi di prevenzione e di educazione, nell’emancipazione delle fasce più deboli delle comunità, nel rafforzamento delle pari opportunità fra esseri umani, nel ribaltamento delle tradizionali logiche tecnico-professionali, che impongono di guardare non solo ai bisogni dell’utente, ma anche alla comunità come risorsa, nella quale i cittadini esprimono tutte le proprie potenzialità.

L’assistente sociale è ancora oggi l’unica professione di aiuto che porta nella propria definizione l’aggettivo “sociale”. Tuttavia, la dimensione comunitaria del servizio sociale professionale è scarsamente rappresentata, forse trascurata e perfino sacrificata a vantaggio dell’altro livello professionale, quello del case-work.

Le cause sono molteplici. Da un lato, l’incessante affanno dell’assistente sociale nella ricerca, in una cronica condizione di emergenza-urgenza, delle “soluzioni” ai problemi dell’utente. Dall’altro, la storica ed endemica emarginazione delle politiche socio-assistenziali rispetto alle altre azioni simili, esistenti  nel nostro paese. Si genera dunque, un costante regime di scarsità e insufficienza delle risorse e degli investimenti, a sua volta causa d’incertezza e incostanza dei programmi di lavoro.

Il lavoro di assistente sociale, è stato centrato soprattutto alla “gestione del caso” e solo raramente ha assunto la dimensione davvero sociale. Eppure la dimensione comunitaria del Servizio sociale professionale – più alla lunga, certo, ma inesorabilmente – contribuisce a ridurre il numero di cittadini-utenti e a migliorare le relazioni di aiuto con ciascuno di essi.